domenica 24 agosto 2008

Baggio: io felice senza calcio

ALTAVILLA VICENTINA (Vicenza) - Passi vent'anni sperando che torni il più presto possibile e gli altri venti augurandoti che non torni più. Perché hai invocato ostinatamente il miracolo: il rientro sempre più rapido dall'infortunio sempre più grave, per la voglia di rivedere in campo le sue giocate e la sua fantasia. E perché, soltanto dopo il ritiro, hai scoperto che l'uomo con i suoi desideri più semplici aveva preso il posto del campione e delle emozioni uniche che sapeva regalare. Dalla normalità della straordinarietà alla straordinarietà della normalità: un percorso che Roberto Baggio ha saputo compiere senza ostentazioni, con umiltà e tenacia.

In mutande l'avevo lasciato quattro anni fa, Milan-Brescia l'ultima partita, e in mutande me lo ritrovo di fronte in un giorno d'agosto, "nel limbo del nulla estivo". Altavilla Vicentina, una strada in salita e una mezza curva a destra prima del portone di legno: Robi è rientrato un paio d'ore fa da Asiago e ha cominciato a tagliare l'erba con una macchina moderna eppure rumorosissima. Ettari di prato all'inglese. I pantaloni li ha sacrificati al caldo e all'umidità, ha tenuto addosso soltanto una camicia verde bottiglia e un berretto calzato alla ciclista.

s ul berretto è impressa una delle tante battute importate dall'Argentina, "que perro camorrero...", "che casinista...". Indimenticabile la volta in cui Robi si presentò a Lippi - stagione nervosamente interista - con la scritta "matame si no te sirvo", ammazzami se non ti servo.

Sudato, le cicatrici che gli segnano le ginocchia e raccontano la sua storia più tormentata, conserva ancora il brillantino al lobo sinistro. "Negli ultimi mesi ho ripreso qualche chilo", quasi si scusa, "colpa del vino. Quando sono a tavola non so resistere a un paio di bicchieri di prosecco bello fresco, soprattutto in giornate come questa. Se smetto per un mese, di chili ne perdo subito quattro o cinque. E poi ho un metabolismo che fa schifo: ingrasso soltanto guardandolo, il cibo. Sono fuori registro, da sempre. Quanti aerei ho perso per colpa dell'antidoping quando giocavo. Catania, Lecce, Napoli, troppe volte mi è toccato dormire fuori e rientrare da solo la mattina seguente. Finivo la partita totalmente disidratato: le funzioni riprendevano dopo sei, sette ore. Ti lascio immaginare cosa accadeva dopo una notturna. Soltanto negli ultimi due anni a Brescia sono riuscito a risolvere il problema, evitando di fare pipì nelle ore che precedevano la partita. Poi, però, mi toccava tenerla per novanta minuti".

Cosa fa Baggio? come vive? quando torna? ma ha voglia di tornare? si annoia senza il pallone? davvero non gli manca? e i vuoti come li riempie?
Sempre le stesse domande per quattro anni, quelli dell'assenza. Poste con un affetto e un rispetto speciali però. "Sto bene, sul serio. Questo che vedi è il mio mondo, la casa, il prato, il bosco, il capanno, gli uccelli, il magazzino. Non credo che potrei azzerare tutto per risalire sulla giostra, oggi. Un altro trasloco non è possibile e in questo momento neanche lo desidero. Siamo in cinque, devo pensare innanzitutto ai figli, diciotto, quattordici e tre anni: hanno il diritto di essere seguiti da vicino. Mi godo la libertà di guardare con fiducia a ciò che li attende. Con tutte le cose che devo fare non ho il tempo per annoiarmi, e in fondo un po' di noia l'avevo messa in conto. Mi sento padrone delle mie giornate, è una sensazione fantastica. Avevo a lungo sognato di potermi permettere una vita del genere: di non avere più presidenti, direttori, allenatori, obblighi, scadenze, orari da rispettare. Quel che dovevo fare l'ho fatto, al calcio ho dato tutto me stesso. Fin da quando ero ragazzino, domandalo a mio padre, non ho pensato ad altro. Allenamenti, ritiri, viaggi, alberghi, partite e ancora allenamenti: mi sembrava di essere Cutolo... Non ho fatto un passo indietro, ma due avanti".

Soprattutto come uomo. "Non mi va di fare discorsi troppo seri ma questo pezzo di vita l'avevo preparato. Se ci pensi, in quattordici anni di amicizia e collaborazione con Vittorio (Vittorio Petrone, il suo agente, ndr) non abbiamo mai progettato una seconda carriera, un dopo nel calcio. Volevo vedere com'è il mondo, provare il gusto delle cose semplici e fare a tempo pieno tutto quello che da calciatore mi era permesso di fare per solo venti giorni all'anno. Anche frequentare gli amici: l'amicizia è il più alto valore dell'essere umano, come mi ripeteva Ikeda, il maestro".

Al polso destro porta due braccialetti di gomma con la stessa scritta, "Heroes Company". Spiega che è una delle iniziative che lo impegnano maggiormente. "Un'organizzazione no profit che ho fondato con Vittorio un anno fa, settembre duemilasette. Eravamo ospiti in un villaggio a una settantina di chilometri da Vientiane, la capitale del Laos, dove avevamo portato degli strumenti didattici per combattere l'aviaria - da sei anni sono ambasciatore della Fao. Mi aveva conquistato il lavoro dei volontari, gli eroi moderni, e ho sentito il desiderio di dare una mano. Lì è nata Heroes Company. Da mesi stiamo progettando interventi di assistenza alle persone rimaste ferite in modo grave dalle mine anti-uomo, donando arti artificiali. Sogno anche di andare in Birmania per consegnare al Nobel per la Pace San Suu Kyi - agli arresti domiciliari - il riconoscimento che le hanno assegnato il presidente Napolitano e Walter Veltroni, da sindaco di Roma. È stata lei a volere che fossi io a riceverlo al suo posto. Il problema è che in questo momento sia io sia Vittorio siamo nella black list degli indesiderati dal governo birmano".

Robi sembra appagato, in perfetta armonia con le cose che lo circondano. E al presente. Gli unici ritorni che si concede sono quelli dall'Argentina, dalla Pampa. Il più recente a fine luglio. Mi mostra una foto scattata dopo una battuta di caccia: la metà del cinghiale di oltre due metri che ha centrato nella notte. "Di giorno animali di queste dimensioni non li vedi. Un maschio di 168 chili, furbo, doveva averne viste di tutti i colori: conosceva il cacciatore, le cartucce, i cani, li sentiva a chilometri. Tre uscite a vuoto e finalmente l'abbiamo incrociato di nuovo. Nelle sere precedenti avevamo incontrato soltanto femmine e piccoli, e le femmine e i piccoli non si toccano. Riuscire a pensare come l'animale che stai inseguendo, anticiparne le mosse è un gioco alla pari: istinto contro istinto, esperienza contro esperienza. E siamo nel suo territorio. Sapessi quanti contadini ci chiamano per chiederci di fermare i cinghiali che devastano i loro campi... Diverse volte ho provato a spiegare il mio rapporto con la caccia, senza riuscirci. Soltanto chi la vive con il mio stesso entusiasmo e rispetto può capire".

Da una prima vita costruita con i piedi a una seconda fatta con le mani, nuovi strumenti, nuovi temi, nuovi elementi. Robi colleziona gabbie per uccelli, le restaura personalmente: ne ha più di duecento. E specchietti per le allodole: ne possiede di inglesi, di francesi, dei primi del Novecento. E poi richiami, stampi, anatre di legno povero annerite col catrame: quattro appartenevano a Giacomo Puccini ("le ho trovate sul lago di Massaciuccoli dove andava a caccia"). Lavora volentieri e con insospettabile abilità il legno, ha anche rimesso a posto un barcone da pescatori acquistato a Grado. L'ha piazzato al centro di una delle tre stanze dedicate a questa sua passione.
Poche le tracce di calcio, nella villa su tre livelli. Alle pareti foto di Ronaldo, Zamorano, Zanetti con Valentina e Mattia (i due primi figli di Baggio, ndr). Il Pallone d'oro ha il posto più nobile, nel corridoio che porta alla camera da letto e di fianco ai primi scarpini, del numero ventotto, che sua madre gli ha restituito trentatré anni dopo, quando Robi ne ha fatti quaranta. Le maglie ci sono tutte, riempiono una serie di armadi bianchi chiusi a chiave, di sotto, nel magazzino. "Non le ho mai mostrate a nessuno, ne avrò più di seicento, quella di Maradona ai Mondiali, di Pelé nel Santos, e poi Van Basten, Gullit, Zico, Baresi. Ho conservato anche le scarpe e le tute".

Un ordine sorprendente, quasi maniacale. "Tengo dietro a tutto io. Non ho più bisogno dei fuochi d'artificio, ma neppure di sacrifici. Ricordo gli anni con Sacchi in Nazionale, ogni stagione con lui ne valeva cinque con un altro. Non staccava mai. Tra campionato e coppe giocavamo la domenica, il mercoledì e di nuovo la domenica. Ci allenavamo tutti i giorni, anche il trentuno dicembre e il primo gennaio e, insomma, lui nella settimana libera, a febbraio mi pare, si inventò gli stage alla Borghesiana. Campo, pranzo, videocassette, e ancora campo. Quando mi riusciva di scappare a casa per un giorno mi sembrava di entrare in Paradiso. La fatica era soprattutto mentale, per uno spirito libero come il mio. A Vale, a Mattia ho portato via quattordici anni di presenza". Ricicla una delle sue battute: "Leonardo, il mio più piccolo, quando mi ha visto la prima volta ha urlato: nonno!".

Una doccia rapida, il codino non c'è più da un pezzo: capelli corti e grigi, comodi. Mi porta a pranzo a dieci minuti d'auto da Altavilla: da Benetti, che curiosamente si chiama Romeo, alleva gustosissimi polli ruspanti e coltiva amicizie di qualità, da Mario Rigoni Stern ("abbiamo trascorso tante giornate insieme e non mi ha mai parlato dei suoi libri, se non una volta, alla vigilia di Natale di qualche anno fa, quando sottolineò il rapporto tra la ricchezza di oggi e la miseria di allora: è stata una grande perdita") a Gian Antonio Stella, a un altro straordinario giornalista, Gigi Riva. Con noi c'è Claudio, il padre della moglie di Roberto, Andreina. Chiacchierano senza soluzione di continuità - e bevono - in veneto strettissimo, una lingua che si apre ogni tanto al calcio. "Quando Berlusconi e Galliani hanno cominciato a parlare di Ronaldinho", dice Robi, "ho capito che l'avrebbero preso. Al Milan sono fatti così, amano quel genere di giocatore: volevano costruire un blocco brasiliano e soprattutto recuperare Ronaldinho stimolandolo con la concorrenza di Kakà e Pato. Non può permettersi di arrivare terzo nel suo Brasile. Non so cosa gli sia capitato a Barcellona, ma qualcosa dev'essere successo perché a un certo punto Rijkaard non l'ha più convocato e hanno cominciato a far uscire voci su presunti dissapori con Eto'o, ai quali non ho mai creduto. Se hai Ronaldinho non lo tieni in panchina. A meno che tu non abbia un motivo molto serio. Adesso il Barcellona lo allena il mio amico Pep Guardiola: un tipo molto intelligente, gli auguro di ottenere i successi che merita. Ha iniziato alla grande, nei preliminari di Champions".

Un secondo di silenzio prima di parlare di Inter. "Mancio si è tagliato la testa da solo dopo la partita col Liverpool, lì l'allenatore mi ha ricordato il calciatore. Un giocatore formidabile ma con un limite, o almeno così dice la sua storia: nelle sfide che contavano andava in difficoltà". Un'altra pausa e una sorta di affondo: "E non era, non è il solo. Rimpianti? Piuttosto pensieri che ogni tanto si riaffacciano. Il tiro al volo nella partita con la Francia ai Mondiali del '98, ad esempio. In quell'occasione Barthez scivolò ma io me ne accorsi in ritardo, quando avevo già preparato la battuta di prima intenzione. Se fossi stato più freddo, avrei segnato di sicuro e non ci avrebbe più fermato nessuno".di Ivan Zazzaroni da
repubblica.it
Questa lunga intervista, riportata integralmente è il mio attuale omeggio all'ultimo grande giocatore del calcio mondiale, non solo italiano .La vita di Baggio è stata ed è un romanzo.E' un UOMO vero che ha sofferto molto per imporre il suo enorme talento in senso reale e metaforico e che è stato molto amato, e lo è ancora, ma anche troppi invidiato da gente meschina e bulla, tipo Vialli tanto per fare nomi.Il suo giudizio su Mancini è esatto al nanogrammo, fotografa un talento che mai è stato capace di dare tutto se stesso soffrendo per vincere qualcosa di importante.Anche altri ,dice Baggio, si sono mostrati incapaci di vincere nel momento topico, quello che li avrebbe resi immortali e stavolta faccio io i nomi: per esempio Vialli, per esempio il pompatissimo Del Piero, quello che , titolare in Francia, pompato dalla stampa sportiva in mano all Juve, fallì miseramente ma pretese, grazie agli sponsors, di giocare una finale da cadavere.Che bei ricordi evoca Baggio!Senza di lui il calcio è altro, ben altro , poca cosa direi
guardatelo...FANTASTICO e che tocco di palla..UNA CAREZZA..

Pompei ritrova i tesori nascosti per venti anni

Pompei. Molte non sono neanche segnate nella piantina degli Scavi. Eppure ci sono. Rappresentano le più belle e incantevoli dimore dei pompeiani di duemila anni fa. Da decenni inviolabili dagli sguardi dei turisti, dal primo settembre ritorneranno a incantare il mondo con i meravigliosi e suggestivi affreschi e mosaici. Sette giorni di attesa a partire da oggi, dunque: 11 subito aperte, altre otto completamente visitabili da novembre. Poi, c’è da credere che ci sarà una folla di appassionati che tornerà a vedere le case rimaste per anni solo nella memoria, oppure mai viste prima. Come la dimora di Ifigenia, riportata alla luce tra il 1824 e il 1825, una tipica domus pompeiana dove nel peristilio fu rinvenuto il famoso sacrificio di Ifigenia. Quella del principe di Napoli, dei gladiatori, di Trebio Valente, dei quadretti teatrali, di Marco Lucrezio Frontone e di Obellio Firmo, casa disabitata quando la furia del Vesuvio si abbatté sulla Pompei romana del 79 dopo Cristo. «Allontana dalla donna altrui gli sguardi lascivi e le occhiate languide, e non dir parolacce», questo suggerimento, inciso su una delle pareti del triclinio della casa del Moralista e da anni vietato al pubblico, ritornerà a esortare quanti lo leggeranno, ad assumere comportamenti sobri. Tra le più belle dimore che saranno incluse nel nuovo itinerario dell’area archeologica ci sono la Villa di Diomede (dove durante i lavori di scavo tra il 1771 e il 1774 furono rinvenuti due corpi aggrovigliati, uno dei quali aveva un anello d’oro al dito, una chiave d’argento e 1356 sesterzi aggrovigliati in mano). Ecco la casa del Chirurgo, (strumenti chirurgici, in ferro e in bronzo, sonde, forcipi, cateteri e bisturi). Ancora la domus di Apollo e poi quella del Meleagro. Ci sono poi le case numerate con il 2 e il 16 della zona ottava, le case del giardino di Ercole, del Larario di Achille e del Menandro. Si passa subito dopo alle Terme suburbane, (regno dell’eros per i pompeiani) e l’Ara Massima. Nell’attesa dell’evento della riapertura continuano le polemiche a distanza tra i sindacati e il commissario Renato Profili. Lo scontro è sul reclutamento di vigilantes privati a guardia dei tre ingressi del sito archeologico. Cgil, Uil, Flp, Unsa e Rdb hanno sottoscritto un accordo con il soprintendente Pietro Giovanni Guzzo per l’impiego di trenta unità della soprintendenza per la sorveglianza delle nuove domus. La Cisl, invece, continua a «non riconoscere nel professore Guzzo il giusto interlocutore per le trattative e invoca un tavolo di confronto con il prefetto Profili». Le agenzie di vigilanza privata dell’hinterland partenopea, intanto, continuano a presentare le offerte al commissariato dell’area archeologica. Il termine ultimo per la presentazione è a mezzogiorno del 5 settembre. Sull’argomento torna a prendere posizione il segretario generale della Cgil beni culturali, Antonio Santomassimo, che sottolinea il pericolo di «infiltrazioni di camorra attraverso le agenzie di vigilanza privata». «L’intenzione di privatizzare la vigilanza del sito non solo produce ulteriori e inutili costi alle casse pubbliche - dice Santomassimo - ma rischia di esporre la pubblica amministrazione alla mercé di questa o quella società privata, spesso non in regola con le normative antimafia, proprio in un settore delicato come quello del controllo e della vigilanza».di Susy Malafronte da
il mattino
LA CASA DI APOLLO
Era di un commerciante tra le statue ritrovate anche quella di Fauno ora al museo nazionale

Il Dio Apollo, più volte raffigurato, ha dato il nome alla casa appartenuta a un ricco commerciante. Le statue di Apollo e di Fauno alla caccia di una cerva (che ora si trova nel museo archeologico nazionale di Napoli) ornavano l'ingresso del tablino, dove c'è un quadretto di Venere. Il cubicolo in fondo al giardino ha un prezioso mosaico colorato che raffigura Ulisse che riconosce Achille travestito e nascosto tra le figlie del re Licomede di Sciro.

LA VILLA DI DIOMEDE

Una dimora per ricchi con vista sul mare tra le rovine furono trovati due corpi aggrovigliati

La Villa di Diomede, scoperta durante gli scavi tra il 1771 e il 1774, fu attribuita a Arrius Diomedes. Accanto sorgono la zona termale e ambienti residenziali e di servizio. Dal triclinio si godeva una splendida vista sul giardino sottostante e sul mare. Durante i lavori di scavo furono rinvenuti due corpi aggrovigliati, uno dei quali aveva un anello d'oro al dito e una chiave d'argento in mano. Altri 18 corpi, tra i quali donne e bambini, asfissiati dai vapori, furono scoperti nel sotterraneo.



IL GIARDINO DI ERCOLE
Il padrone fabbricava profumi e nell’orto coltivava le essenze per le sue produzioni

Le analisi paleobotaniche dell'enorme spazio verde posto sul retro della casa del giardino di Ercole, (o del Profumiere), attestano la coltivazione soprattutto di essenze idonee a produrre profumi, quindi gli studiosi ritengono probabile che il proprietario fosse un profumiere. Nella sezione centrale della parete est del giardino c'è un triclinio in muratura per pasti all'aperto. Accanto, invece, sorge un altare e un'edicola dedicata al culto di Ercole, del quale è stata rinvenuta una statua che ha dato il nome alla casa.



IL LARARIO DI ACHILLE

Quando la cenere del Vesuvio distrusse le strutture era un edificio già vecchio e in fase di ristrutturazione



La facciata in opera quadrata attesta l'antichità della casa. Il terremoto del 62 dopo Crostone impose la ristrutturazione, ancora in corso al momento dell'eruzione. Il larario di Achille deve il nome alle figure a rilievo e dipinte su fondo azzurro che mostrano gli ultimi episodi della guerra di Troia: il duello tra Achille ed Ettore, la morte del Troiano, la restituzione del suo cadavere, sul carro, al vecchio padre Priamo scortato da Hermes.


La notizia migliore e questa e cioè che "La virtual house è nel futuro della città sepolta. Una giornata tipo dell'antico pompeiano vissuta, virtualmente, in una delle domus degli scavi, da un turista prima di avventurarsi tra antiche vestigia dell'odierna realtà. Dalla quotidianità del fare la spesa alle performance erotiche consumate nel Lupanare, nella casa dei Vetti o nelle Terme Suburbane. È uno dei tanti progetti che il ministero dello Sviluppo economico ha intenzione di finanziare con i centocinquanta milioni di euro già stanziati e pronti per essere spesi a favore di imprese, enti museali e archeologici, università ed enti di ricerca che intendono mettere insieme la tecnologia con il turismo e i beni culturali per farne strumenti di ulteriore sviluppo e di servizio ai visitatori. «Una sorta di motion-emotion - spiega il senatore Raffaele Lauro, consigliere del ministro Claudio Scajola, che ieri ha incontrato il commissario Renato Profili - per preparare il turista sia sul piano delle informazioni di natura storica e ambientale che dal punto di vista delle emozioni che vivrà durante la visita a uno dei più importanti complessi archeologici del mondo. Centocinquanta milioni di euro sono già stati stanziati. Aspettiamo di poter valutare i progetti da finanziare». Il commissario Profili ha molto apprezzato la novità proposta dal senatore Lauro affermando che «l'area archeologica sarà una delle protagoniste di questa rivoluzione». Lauro è venuto a spiegare ma soprattutto a fornire gli strumenti per incalzare chi i progetti deve presentarli. Da una parte ci sono i fondi di provenienza statale, dall’altro interventi messi in cantiere a livello locale. Sono previste luci artistiche per illuminare il perimetro esterno dell'area archeologica. «Il Comune e la Sovrintendenza - spiega il sindaco Claudio D'Alessio, che ieri mattina ha incontrato il prefetto Profili - investiranno centosessantamila euro per illuminare in maniera artistica piazza Esedra e via Villa dei Misteri. Questo nell'ottica di una cooperazione tra l’ente e il commissario. Anche l'Adap, l'associazione albergatori, auspicando una fitta rete di collaborazione tra la gestione commissariale e la realtà ricettiva, ha chiesto e ottenuto un incontro con Profili. Ieri mattina, la presidentessa dell’associazione degli albergatori pompeiani, Rosita Matrone, ha prospettato al commissario «tutti gli sforzi imprenditoriali che le forze sane della città stanno ponendo in essere per il rilancio di Pompei.
Il vero rilancio di Pompei e di altri siti archeologici campani sarebbe una manna dal cielo, speriamo che se ne occupi gente capace e intraprendente.POMPEI E' UNA MINIERA D'ORO







sabato 23 agosto 2008

La Firenze di Boccaccio in un sexy film

Il 5 settembre uscirà in Italia il film di David Leland prodotto da Dino De Laurentiis e Cavalli: si chiama Decameron Pie e promette scene bollenti Giovani fiorentine del ’300 fasciate in lunghi abiti di velluto nero, pantaloni di pelle a go go, suore (licenziose) nascoste da pudichi veli bianchi: così Roberto Cavalli, al debutto come costumista, ha vestito i protagonisti di Decameron Pie di David Leland, la commedia con Hayden Christensen, Mischa Barton, Tim Roth e Anna Galiena, molto liberamente ispirata al Decameron di Giovanni Boccaccio, che strizza l’occhio nella trama, come nel titolo, alle commedie sexy giovanilistiche sul modello di American Pie.
FINALMENTE IN ITALIA. Il film da 40 milioni di dollari, prodotto da Dino De Laurentiis insieme alla moglie Martha, a Tarak Ben Ammar e allo stesso Cavalli, a oltre due anni dalla fine delle riprese in Italia (a Cinecittà e in location come San Gimignano, Siena, Bracciano e la campagna intorno a Caprarola) e dopo vari cambiamenti di titolo (fra gli altri, Virgin territory, Chasing Temptation, Decameron: Angels & Virgins, Guilty Pleasures e per il mercato d’oltralpe Medieval Pie), arriverà nei cinema italiani il 5 settembre distribuito da Eagle Pictures. Per la pellicola, tuttavia, l’uscita in sala (finora avvenuta solo in Russia, Ucraina, Singapore e Francia), non ci sarà nè negli Usa nè in Gran Bretagna, dove sono già state fissate, per agosto, distribuzioni direttamente in video. Nelle note di produzione, comunque, Dino De Laurentiis sottolinea la bravura di Leland: «È entrato in sintonia con la storia e ha compreso immediatamente ciò che volevamo. Ha scritto un bellissimo copione, moderno, intrigante, i cui temi sono gli stessi che coinvolgono i giovani d’oggi: l’amore, il sesso, l’avventura».
TRAMA ISPIRATA AL DECAMERONE. La trama, ricca di scene di nudo, pesca a piene mani, per le situazioni, dalle novelle del Boccaccio ma stravolgendo linea narrativa e personaggi, che spesso restano legati all’originale solo nei nomi. Protagonista della vicenda, narrata dal pittore-finto monaco Tindaro (Craig Parkinson) è Pampinea (Mischa Barton) giovane fiorentina rimasta orfana e promessa sposa a un conte russo che, nella Firenze del 14/o secolo, martoriata da un’epidemia di peste, cerca di sfuggire al bieco Gerbino De la Ratta (Tim Roth, sempre credibile), intenzionato a sposarla. Nella ricerca di un luogo in cui nascondersi, la ragazza si ferma in un convento dove ritrova il bel Lorenzo (Hayden Christensen), da sempre innamorato di lei ma diventato in breve tempo l’amante di tutte le suore (fra cui anche Elisabetta Canalis e Anna Galiena), facili allo strip e ansiose di sedurre. Al gioco amoroso fra Pampinea e Lorenzo, si intrecciano quelli degli amici della ragazza, come Filomena, Elissa, Dioneo e del conte russo arrivato in Italia. «Boccaccio è stato geniale nel modo in cui ha legato fra loro le singole storie - spiega Leland -. La maggiore difficoltà è stata individuare una storia centrale che unisse le varie trame parallele. Il Decameron racconta 100 storie diverse, ma tutte ambientate nello stesso mondo. Dino non voleva realizzare un film a episodi e io ero d’accordo con lui», anche se «per quanto riguarda la recitazione, il dialogo, i costumi, la scenografia o l’ambientazione - aggiunge - la nostra priorità è sempre stata lo spirito del Boccaccio». Cavalli, che per il film ha realizzato 150 costumi aggiunge che «anche come costumista sono rimasto me stesso. È un Trecento senza tempo e un Cavalli riconoscibile. Alcuni abiti li ho recuperati dal museo storico della mia moda, altri un pò modificati».da


corriere.it
Mah certi nomi come quelli della Galiena e, peggio, della Canalis depongono per il fatto che questo sarà un film stile pecoreccio anni 70...oltretutto nessuna delle due è intrigante davvero, sono bonazze e basta..Non si sentiva la mancanza di un'opera cinematografica (eufemismo) di tal fatta che punta ad incassi sostanziosi cercando di attirare spettatori di bocca buona e in cerca di scene pruriginose .Sarà la solita schifezza gabellata per arte..Decameron pie..sarà una vera porcata..mai come ora il titolo è illuminante, che dico, FOLGORANTE!
Povero Boccaccio!

lunedì 11 agosto 2008

Giovanni Fattori. La poesia del vero

Oltre duecento opere di Giovanni Fattori (Livorno 1825 – Firenze 1908), fra pittura e grafica, dal 6 settembre al 30 novembre si affiancano ai capolavori di Dürer, Gentile da Fabriano, Tiziano, Rubens, Goya, Canova, Monet, de Chirico, Morandi e dei tanti altri maestri dal Trecento al Novecento esposti stabilmente alla Fondazione Magnani Rocca, nella splendida dimora che Luigi Magnani riempì di capolavori a Mamiano di Traversetolo, nell’area pre-collinare vicino a Parma.

Può apparire quasi una nemesi storica il fatto che i contadini, i butteri e i buoi che Fattori scelse per alcune delle sue più celebri opere siano esposti in questa sede. Qui Luigi Magnani, straordinaria figura di imprenditore coltissimo, mise a frutto, creando una magnifica collezione d’arte, proprio i proventi dell’attività agricola di famiglia, proventi assicurati da vaste campagne, allevamenti e caseifici in un’area di assoluta eccellenza nell’agroalimentare.

La mostra, realizzata nel centenario della morte di Giovanni Fattori grazie al contributo della Fondazione Cariparma e di Cariparma (Gruppo Crédit Agricole), è curata da Andrea Baboni, massimo studioso dell’opera del grande artista e curatore anche della retrospettiva livornese di cui questa mostra rappresenta un importante esito.

E’ la prima volta che in Emilia Romagna si riunisce un’antologica esaustiva di tutta l’opera di Fattori, maestro del realismo europeo, considerato anche il più importante pittore macchiaiolo. Il movimento dei Macchiaioli, al quale Fattori aderisce per alcuni anni, nasce di fatto nel 1856, affermando che la luce e il colore sono per l’individuo l’unico modo di entrare a contatto con la realtà, che dovrà, per i macchiaioli, essere restituita nei dipinti come una composizione a macchie.

L’arte di Fattori viene così indagata in tutta la sua complessità tecnica e tematica, a partire dagli inizi accademici ai primi studi militari, dalle tele di battaglia, alle sintetiche, liriche tavolette degli anni 1865-1875, ai mirabili ritratti, ai quadri di butteri, sino a toccare tutti gli aspetti del vero, dal paesaggio alla figura, comprese le opere che aprono al nuovo secolo, dipinti dalle cadenze vagamente espressioniste, dove figure come isolate in uno spazio senza tempo, rimandano al dramma esistenziale dell’uomo del Novecento.

Dalla mostra emerge una grandezza, quella fattoriana, fondata sulla complessità di una produzione ricca di tante sfaccettature, in cui i più alti raggiungimenti stilistici affiorano lungo tutto l’ampio arco creativo, nell’utilizzo delle più svariate tecniche: all’efficacia del robusto disegnatore, va affiancato il momento riassuntivo e intimo delle acqueforti nel cui formato l’artista riprende e reinventa, con energia costruttiva sempre nuova, i suoi temi come asciugati dal superfluo e scavati al comune denominatore di una faticosa esistenzialità, non frammenti, ma in tutto organismi autonomi. La mostra si articola secondo le venti sezioni di seguito elencate:
Studi di figure. I primi ritratti 1859-1865. Primi studi di temi militari 1859-1865. L’epopea risorgimentale: le tele di battaglia 1860-1870. Le tematiche agresti: classicità della figura e sentimento elegiaco della natura 1861-1866. Le abbreviate sintesi dal vero 1862-1870. Concitazione e movimento nelle composizioni militari degli anni settanta 1865-1880. Il periodo di Castiglioncello 1867-1875. Gli accampamenti militari 1868-1880. Vedette e pattuglie 1870-1880. La poesia dei campi: erbaiole e fascinaie 1870-1890. Il primo periodo romano. La poesia dei muri bianchi 1871-1880. Riflessi d’acqua: l’Arno, Antignano, Livorno 1870-1890. I luoghi dell’anima 1870-1895. La fatica quotidiana 1870-1900. Lo studio degli animali 1875-1890. Figure e ritratti della maturità 1875-1900. Scene di vita urbana 1880-1885. Il soggiorno alla Marsiliana: lo studio dei butteri 1880-1895. Esplorazioni e manovre 1880-1900. Le disillusioni e l’isolamento 1890-1900.
Data Inizio: 06/09/2008
Data Fine: 30/11/2008
Costo del biglietto: 8,00 euro
Sito Web: http://www.magnanirocca.it/

da Beniculturali.it

Una mostra con opere di Giovanni Fattori si è tenuta pure in Toscana presso Villa Bardini infatti il 2008 è considerato un anno "fattoriano" dato che Giovanni Fattori morì il 30 agosto del 1908.Sono passati 100 anni dalla sua morte eppure la sua pittura è ancora fresca, fragrante di profumi e sentimenti antichi ma in realtà eterni, ricca di atmosfere rilassanti ma pur sempre dotate di grande forza espressiva.Consiglio a chi può di vedere questa mostra di un grande pittore capace di evocare atmosfere uniche e affascinanti senza forzare mai per essere un innovatore iperoriginale.Anche questo è essere ARTISTA





sabato 9 agosto 2008

Praga 1968, ecco ciò che Eco non ha visto

Tre giorni fa a Cortina, Enzo Bettiza, autore del recente La primavera di Praga. 1968 (Mondadori) ha dato il via a una rovente polemica con Umberto Eco. Secondo Bettiza «a Eco non importava nulla degli studenti e dei lavoratori di Praga: a lui importava solo che il blocco sovietico rimanesse compatto». Eco ha prontamente smentito ma ieri, sulle pagine de Il Giornale abbiamo presentato ampi stralci del suo reportage da Praga, pubblicato su l’Espresso del 1º settembre 1968, che dimostrano una certa «timidezza» nel prendere posizione verso gli occupanti sovietici e le loro atrocità.
Nell’agosto del 1968 Josef Koudelka rientrò in Cecoslovacchia dalla Romania, dove era andato a fotografare gli zingari. Studi di ingegneria aeronautica alle spalle, un’attività di free-lance come fotografo teatrale di scena, erano sei anni che il trentenne Josef si interessava ai Gitani e al loro mondo, sognava di farci un libro, di fissare sulla carta un modo di essere e di esistere.
Era un romantico, Koudelka, non gli piaceva la realtà del proprio tempo, inseguiva l’utopia di una vita difficile e però piena, minacciata e però libera. Con negli occhi le immagini dei carri nomadi, di colpo si ritrovò davanti quelle dei carri armati del Patto di Varsavia e di una nazione, la sua, invasa, umiliata e offesa, piena di rabbia, ma impossibilitata a reagire, costretta a subire... La «primavera di Praga» moriva così, in un’estate grigia e umida di quarant’anni fa e per un giovane fotografo che non amava la cronaca e disprezzava l’attualità quelle sarebbero potute essere, dovute essere, giornate in cui chiudersi in casa a sviluppare «l’altro» universo onirico e reale che così tanto e così a lungo lo aveva stregato. E invece Josef Koudelka scese per strada e continuò per giorni a girare e a fotografare: la repressione e la ribellione, i cortei e i blindati, i praghesi e i soldati russi, l’agonia di un’utopia...
Come un orso infastidito, con una zampata l’Urss aveva fatto volare via ogni speranza e ora si limitava a starsene lì, una presenza che non aveva neppure bisogno di agire. Non che non ci fossero stati anche i morti, un centinaio circa, o i feriti, un migliaio, ma nella patria di Kafka niente era come sembrava e tutto aveva una sua logica paradossale: eri invaso da un Paese «fratello» e alleato, ma era per il tuo bene, dicevano, e poi, sosteneva ancora l’invasore, glielo avevi chiesto tu... Eri uno Stato socialista e continuavi a ritenerti tale, ma dietro quello slogan del «socialismo dal volto umano» il «socialismo reale», quello vero, vedeva un volto che non gli piaceva, e quindi... Continuavi ad avere un presidente della Repubblica, Svoboda (che in ceco vuol dire «libertà»), il quale andava a Mosca, sua sponte, per trattare, ma a Mosca c’era già il tuo presidente del Consiglio, Dubcek, e l’avevano portato lì con la forza, e insomma era «in viaggio d’affari», come raccontavano le madri ai loro figli piccoli quando i padri finivano dentro per colpa della politica... Lungo i muri di Praga, fra le tante scritte che Koudelka fotografò, una diceva: «Lenin svegliati! Breznev è diventato pazzo!». Il problema era che la «pazzia» del secondo era perfettamente in linea con la supposta normalità del primo e se vent’anni di indottrinamento postbellico avevano reso possibile l’equivoco, dopo non sarebbe stato più così e il ’68 praghese è da questo punto di vista una sorta di spartiacque non solo politico, ma anche ideologico. Il comunismo morì allora, nella sua impossibilità a riformarsi e a rifondarsi. Altre scritte erano più semplicemente beffarde, rabbiosamente ironiche. «Abbiamo cacato sull’Occidente ed è dall’Oriente che la merda ci è ricaduta addosso. È la prova della sfericità della terra». «Prodotti d’esportazione sovietica: carri armati, piombo, morte». «Proletari di tutto il mondo, andatevene!». «Con l’Unione Sovietica per l’eternità. Al cimitero». «Non ci si può sedere sulle baionette»... Non campeggiavano solo sui muri, ornavano le vetrine dei bar e i finestrini dei tram, riapparivano sotto forma di volantini, all’interno di numeri unici di quotidiani e riviste: sintetizzate graficamente, una stella a cinque punte comunista trasformata in svastica nazista, un «go home» scritto con il gesso finivano addirittura sui cingolati sovietici... Già, perché l’occupazione di una città era anche questo, come con puntiglio da entomologo Koudelka fotografò: il tank e i cittadini, le baionette inastate e la folla che le fronteggia, le finestre di un palazzo andate in pezzi per una sparatoria dimostrativa e i feriti dalle schegge che vengono soccorsi... Delle centinaia di foto scattate, una piccola parte trovò, qualche mese dopo, la via dell’Occidente.
Nel ’69 l’Agenzia Magnum, in occasione del primo anniversario dell’invasione, le rese pubbliche: «Fotografo cecoslovacco anonimo» diceva il credit che sostituiva la firma: Koudelka viveva ancora a Praga, così come la sua famiglia, svelarne l’identità significava spalancargli la porta della galera. Quell’anno, comunque, vinse il premio Robert Capa della Overseas Press Club.... Nel ’70, grazie ai suoi Gitani, Josef su invito proprio della Magnum andò in Germania Occidentale a fotografarli e in Cecoslovacchia non tornò più. A metà degli anni Ottanta, i genitori ormai morti, rivendicò pubblicamente quei cliché nel corso della sua prima grande mostra alla Hayward Gallery di Londra, ma dovrà cadere il Muro di Berlino perché i praghesi possano vederle in patria, a ventitrè anni di distanza da quando furono scattate.
Il libro che ora le raccoglie, insieme con molte altre rimaste finora inedite, per un totale di 250, si chiama, semplicemente, Invasione Praga 68 (Contrasto-Forma editore) e sono struggenti perché si capisce che il fotografo non è solo uno spettatore o un testimone degli eventi, ma ne fa parte, è una delle migliaia di cittadini indignati e affranti, sconfitti ma non vinti che affollano le strade, agitano le bandiere, marciano nei cortei, fronteggiano i carri armati, lividi di rabbia e di paura, gli occhi lucidi, il volto teso. Koudelka è, appunto, uno di loro. Un ragazzo di Praga.di Stenio Solinas da ilgiornale
Quello che si può dire con certezza è che in altri frangenti Eco non è affatto "timido" ergo è il solito intellettual-radical-chic che dove vede ( si fa per dire..) e dove "ceca" .E allora la facciamo una colletta per donargli un bel pastore tedesco, cane guida per "cecati"?
E dire che in quell'occasione fu stroncata in modo arrogante e "padronale", roba da satrapi persiani,quella che veniva poeticamente definita " LA PRIMAVERA DI PRAGA.E dire che, ancora oggi a vedere il punto in cui di diede fuoco Ian Palach , uno degli eroi di quella rivoluzione, si prova un'emozione intensa ed una grande reverenza per un martire della libertà, LIBERTA' , parola sconosciuta nella sua reale essenza a troppa presunta intellighentia SINISTRA , senza vergogna, nè pudore